Gli imperdibili di Tortuga #13
I valori immateriali: Vittorio Emanuele Parsi sull'Europa post covid; le interviste a Ezra Pound; Marco Ferreri, un regista dispari; "casa Brasile" nel vortice secondo Chico Buarque
«Next Generation Eu: uniti si vince» di Vittorio Emanuele Parsi
Ospitiamo una riflessione di Vittorio Emanuele Parsi – che insegna Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano – sull’Europa e la sua capacità di risposta alla crisi pandemica. Parsi è autore di “Vulnerabili” (Piemme)
Nel corso dell’ultimo anno l’Unione europea ha dovuto affrontare una sfida che avrebbe potuto travolgerla: la pandemia. Next generation Eu è stata la sua risposta, frutto di un processo politico laborioso ma tempestivo che ha ritematizzato la ragione ultima della necessità del progetto europeo: divisi perdiamo tutti (di sicuro e su tutto), uniti abbiamo tutti più chance di vittoria. Fuori dei facili trionfalismi, delle enfasi retoriche, ma anche oltre le risse da cortile e gli egoismi nazionali, è una verità che ben conosciamo, e la cui validità si estende ben oltre la lotta contro il virus. Intendiamoci molto bene.
Il Next generation Eu non è certo la riedizione del Manifesto di Ventotene e sicuramente poteva prevedere meccanismi più generosi, flessibili, rapidi; come del resto neppure il Piano nazionale di ripresa e resilienza…
«Interviste a Pound: “Scrivete ciò che volete, tanto è inutile”» di Armando Torno
Nel secolo scorso le parole e i loro significati naufragarono. Mentre descrivevano ancora gli inabissamenti delle navi di Ulisse o Robinson, gli stessi termini finivano alla deriva. Heidegger lo percepì e in una raccolta di saggi e conferenze pubblicata nel 1959, Unterwegs zur Sprache, In cammino verso il linguaggio, indicò quanto stava avvenendo, anzi ciò che era accaduto. Scriveva: «Svincolato nella sua libertà, il linguaggio può curarsi solo di se stesso». Quell’antica forza semantica che tutto racchiuse nei propri segni, anche le leggi del Dio rivelato, ora «si dà cura che il nostro parlare, ascoltando il dire che non ha suono, corrisponda a quel che esso viene dicendo».
Chi se ne accorse (consciamente o no) oltre ad Heidegger? I nomi degli scrittori e dei poeti che reagirono alla catastrofe non sono molti. Di certo Joyce o Céline (che finì con il trasformare le frasi in rantoli), indubbiamente Ezra Pound…
«Grande Teatro Anatomico Ferreri» di Marco Ciriello
Il cinema di Marco Ferreri è un teatro anatomico, dove il motore è la morte. Solo con la morte c’è la possibilità d’indagine. Ogni corpo è una carcassa in potenza, e mentre gli altri, tutti gli altri, si preoccupano di fare un cinema della vita, dell’illusione, Ferreri sventra quelle carcasse, e le porta alla fine, con una dolcezza baconiana, pennella il dolore in colori accesi, allegri, colpendo in faccia gli spettatori, dilatando i desideri e scavalcando il senso del pudore, allargando gli spazi – da quelli della mente a quelli dello stomaco fino a quelli delle metropoli – e tirando dentro la storia umana gli animali come solo Anna Maria Ortese farà nel romanzo.
Perché Ferreri è un veterinario mancato – ha studiato e poi è andato oltre – e pensa che animali e uomini possano interagire, scambiarsi di ruolo, in quasi ogni sua trama – o tentativo – c’è il coinvolgimento favolistico degli animali…
«Chico Buarque: la frana del Brasile» di Bianca Fenizia
Se ad occhio nudo fosse possibile osservare la linea equatoriale, si potrebbe constatare subito la divisione del globo, facendo risaltare non semplicemente le geografie dei due emisferi ma la ripartizione terreste tra scrittori che abitano le loro case e scrittori che osservano il mondo da lì. Il nord impara a conoscere se stesso occupando lo spazio che lo circonda, prediligendo il racconto autobiografico e l’ironia narcisista – come Nora Ephron in Moving on, a love story «Ma, come ho detto, questa non è una storia di soldi. Questa è una storia sull’amore. Ho firmato il contratto di locazione perché non ero pronta a divorziare dal mio edificio» – oppure ritracciando il confine del male che non appartiene solo a chi è distante, ma soprattutto a chi è più vicino, magari sullo stesso pianerottolo – Rosemary’s baby di Ira Levin. La casa è il teatro del dramma borghese, delle mutazioni famigliari, si occupa di un’introspezione che riguarda sempre il singolo, e coincide il più delle volte con l’architettura psicologica di chi la abita – L’incubo di Hill House di Shirley Jackson. Discorso differente per l’emisfero meridionale, dove gli scrittori partono dal loro posto, rifugio da e nel mondo, per affacciarvisi e descriverlo.
È questo il caso dell’ultimo romanzo di Chico Buarque, Quella gente (Feltrinelli, pp. 144, euro 15,00, traduzione di Roberto Francavilla).
Alla prossima!