Gli imperdibili di Tortuga #2
Per Salgari! E poi: Bresciani e Galimberti, Pastimonio genetico, Settembre.
Emilio Salgari: ritratto del vento di Marco Ciriello
Il mondo di Emilio Salgari è tutto quello che si può ancora immaginare. Il viaggio mancato al quale si rimane legati, è quello che poi l’ha portato in giro, davvero. E con lui, tutti noi. Il mondo apocrifo di Salgari era l’unione di universalismo e antimperialismo, che gli permette di essere moderno ancora oggi. Perché mai banale, mai tenero, mai ossequioso né sentimentale. Libero da confini: geografici e letterari.
Quando uno scrittore crea dei personaggi che possono fare a meno di lui, è inutile chiedersi perché è ancora attuale, la sua modernità la raccontano quei personaggi che seguitano a vivere.
Maki Galimberti: killer armato di macchina fotografica di Daniele Bresciani
Chi ha lavorato nei giornali sa bene (e chi non ci ha lavorato può fidarsi) che uno dei momenti di tensione maggiore è quando, di ritorno da un’intervista, il redattore viene invitato dal caporedattore o direttore del caso a raccontare come è andata. Fiumi di parole, solitamente interrotti da qualche annoiato «mmh» o, peggio, da «scusa un attimo» quando squilla il cellulare. Finché, solitamente accompagnata da un’alzata di sopracciglio, arriva la domanda: «Sì, vabbè, ma che titolo facciamo?»
Ecco. Il titolo.
L’incubo di chi scrive.
Si tratti di articoli, saggi, romanzi o, appunto, interviste, trovarne uno che sia originale, non banale, esplicativo, accattivante, “basta coi calembour” e magari anche intelligente è una piccola impresa.
A volte, però, capita di essere fortunati.
In questa intervista, l’intervistato ha tolto dai guai l’anziano intervistatore e di titoli gliene ha dati anche troppi.
Di conseguenza, nell’imbarazzo della scelta, la chiacchierata sarà intervallata da quelli che mi sono sembrati i più divertenti.
Sono un killer senza pistola
Maki Galimberti, milanese, 53 anni, è uno dei ritrattisti italiani più conosciuti.
Pastimonio genetico di Mauro Erro
Dovendo indicare qualcosa che rappresenti più di altre l’italianità non si farà fatica ad accordarci su un bel piatto di pasta ricoperta di sugo di pomodoro e spolverata di formaggio grattugiato. Sì, ma quale formaggio? Non il parmigiano reggiano, scrive un ostinato difensore dell’identitaria cucina tradizionale come Tullio Gregory. Non ne sarei altrettanto convinto, stando almeno ai testi quali l’Apicio moderno o quelli napoletani dei primi dell’800.
Ippolito Cavalcanti in una delle varie ricette di maccheroni al sugo (di carne) ne indica anche la quantità: «once 12 di parmegiano grattugiato».
Mina Settembre: la verticalizzazione della distanza di Bianca Fenizia
È una lunga discesa agli inferi con destinazione Montesanto, la funicolare che ogni mattina dal Vomero traghetta Mina Settembre al consultorio dove lavora. Due fermate che collegano nella stessa città due mondi inconciliabili: sopra e sotto, giusto e sbagliato, legalità e perdizione. Così se in Napoli violenta – film poliziesco diretto da Umberto Lenzi nel 1976 – il commissario Betti, interpretato da Maurizio Merli, uccide durante un inseguimento il bandito nel vagone, impendendo che il male raggiunga il quartiere collinare, Mina Settembre scende nel buio dei Quartieri Spagnoli come missionaria di luce e salvezza. È la parte sana della città, che domina dall’alto dimenticando di nascere dalla speculazione edilizia e che porta il bene nelle zone degradate, a essere la protagonista dell’omonima serie tv per Rai Uno.
Perché Napoli sarà anche “mille culure”, ma a patto che si intonino con la camicia di Maurizio de Giovanni…
Alla prossima!