Gli imperdibili di Tortuga #22
Mario Calabresi al LongLake, una recensione del suo nuovo libro; La breve vita estrema di Vittorio Bottego; la serie della settimana; Divina Commedia rap
«Calabresi: tempo, uomini e storie perdute» di Marco Ciriello
Un pezzo alla volta, Mario Calabresi, sta sistemando il mosaico dei nostri anni Settanta, tanto da sembrare un personaggio di un romanzo di J. R. Moehringer. Cerca le connessioni, ricostruisce le storie, e quando la violenza diventa insopportabile, scarta e trova quello che è venuto dopo, i figli.
Con delicatezza enciclopedica e gusto archeologico estrae reperti che ci fanno capire tantissimo su un passato recente che continua a condizionare senza trovare le singole verità, che sommate ci permetterebbero di pacificarci. Mentre l’Italia è ancora divisa da una memoria selettiva – destra /sinistra; Stato/anti-stato; terroristi/forze dell’ordine – lui sta andando oltre, perché ai tribunali ha sostituito le cucine, alle sigle extraparlamentari anteposto le persone. È un grande lavoro di ricostruzione e scrittura, di alto valore civile.
Leggendo Quello che non ti dicono (Mondadori) e scoprendo la straordinaria e assurda storia di Carlo Saronio, si capisce moltissimo sulle sfumature degli anni Settanta, e di come Milano fosse molto più allacciata e complicata di quella che tutti da lontano – nel tempo e nella geografia – immaginavamo. Saronio non è Majorana e nemmeno Caffè, ma forse poteva diventarlo, per larghi tratti geniale, ingegnere e ricercatore, chimico con un animo da Alex Langer, e non scompare volontariamente, ma per mano amica, rapito dai suoi stessi compagni di Potere Operaio…
TORTUGA EVENTI AL LONGLAKE FESTIVAL DI LUGANO:
«La breve vita estrema di Vittorio Bottego» di Gioacchino Criaco
Cheyenne dice alla vedova McBain che Armonica non è l’uomo giusto per lei, che lui avrebbe potuto esserlo. Monta a cavallo e guarda un mondo che finisce, cambia, ne nasce un altro. Muore dopo pochi metri, perché è lui il mondo che muore e non avrebbe senso stare in un altro. Fa tenerezza Cheyenne, un attimo, un solo attimo di inganno che copre un’esistenza crudele, truce: sul calcio del suo fucile non ci sarebbe lo spazio per le tacche di tutte le vite che ha interrotto. E nessuno è stato all’altezza di Sergio Leone per raccontare al cinema la frontiera, la confluenza dei mondi.
E quasi nessuno può mettere la propria spalla alla pari di Gianfranco Calligarich per narrare l’epica, l’avventura, lo scempio dell’umanità che si offusca con una fine tragica che cancella il peccato e trasforma, per un istante, il protagonista crudele in eroe.
Quelli come Vittorio Bottego sanno di avere un’unica chance per trovare un posto nella storia: incontrare un Omero. Valli a trovare, in Italia, poeti così…
«Halston, alta moda e scuole basse» di Amleto De Silva
«”La moda è generosa”, pensi / Cade più docile delle mura, / Più facile dei bastioni: / Ai tuoi piedi, sciolta la chiusura. / Dici i Greci, e pensi sono pieghe, / Son colori i Fenici, / E i Macedoni fibbie, / Intimi i Latini. / “La moda è generosa”, pensi / Meglio di un pugile si risolleva / Più agile perde i sensi / Crolla in pezzi senza alcun patema. / Dici i sogni e pensi ai bottoni, / Son asole i risvegli, / E gli scolli effusioni, e spacchi gli sdegni. / E chi teme la moda è immerso in essa comunque / E d’essa è intriso come un cardo dal gambo reciso. / [… ] (La moda nel respiro, Pasquale Panella, Lucio Battisti, Grazia L. Veronese)
Mea culpa. Anzi, più d’una: precisamente due. La prima è che non avevo idea di chi fosse Halston. Oddio, è probabile che lo abbia sentito nominare, ma anche smucinandomi in testa, di questo Halston qui non ho trovato traccia. Trattandosi, come diceva Franchino, di cultura generale, come culpa è abbastanza grave…
«Murubutu: La Divina Commedia in rap» di Giuliano Delli Paoli
Ci vorrebbe un marabutto in ogni casa. E in certe dimore anche due. Le parole spese male, quelle che finiscono sempre per disegnare una supercazzola con scappellamento nella mente di chi le ascolta, anche se non si conoscono Tognazzi, Monicelli, Maraini e la metasemantica, si aggiungono alla composizione dell’aria ogni giorno che passa; certe hanno doppiato l’Argon da un pezzo e vedono l’Ossigeno come Paul Cayard vide dietro i suoi occhiali Buddy Melges il 10 maggio 1992, prima di allentare di scatto il tangone dello spinnaker così che la vela volasse oltre la prua. Insomma le parole sono importanti, per dirla alla Nanni Moretti. E un marabutto oggi varrebbe cento volte più di un corso d’italiano online pagato quanto una coscia di San Daniele o un meeting letterario con salmone affumicato a Tor Vergata.
Lo sa bene Murubutu, nome d’arte del rapper Alessio Mariani omaggiante appunto il marabutto, una figura venerata ancora oggi nell’Africa sub-sahariana, capace di guarire mali fisici e sociali con riferimento al potere terapico delle parole. Mariani è docente di filosofia e storia…
Alla prossima!