Gli imperdibili di Tortuga #27
Damages!; ancora sul G8 di Genova (e la caduta degli alibi); la vita nascosta di Bruno Rizzi
«Damages, campionario di malvagità» di Amleto De Silva
Scout, tu sei troppo piccola per capire certe cose, ma in paese fanno un sacco di chiacchiere su quell’uomo, e dicono che non dovrei darmi tanto da fare per difenderlo. È un caso fuori dal comune… il processo sarà celebrato solo nella sessione estiva. Il giudice Taylor è stato così gentile da concederci un rinvio. – Se non dovresti darti tanto da fare per difenderlo, perché lo difendi, allora? – Per varie ragioni – rispose Atticus. – La principale è che se non lo facessi, non potrei più andare in giro a testa alta. Non potrei rappresentare questa contea all’assemblea dello Stato. – E perché no? – Perché non potrei, Scout. Vedi, Scout, a ogni avvocato capita almeno un caso, nella vita, che lo coinvolge personalmente. A me è capitato questo, immagino. Può darsi che tu senta in proposito delle brutte chiacchiere, a scuola, ma tu fa’ una cosa, per me; tieni la testa alta e i pugni bassi, qualsiasi cosa ti dicano. (Harper Lee, Il buio oltre la siepe)
A me i libri, i film e le canzoni mi hanno rovinato. Quando ho letto di Atticus Finch, e poi l’ho anche visto interpretato da un Gregory Peck, mi sono fatto l’idea – ovviamente del tutto sbagliata – che gli avvocati dovessero essere tutti come lui. Guidati dall’etica e dal senso dell’onore, costi quel che costi, perché l’importante era poter girare a testa alta. Certo, direte voi, eri poco più di un bambino, sei scusato, non ci pensare più. E invece no: il fatto è che io queste cose le penso ancora adesso. Intendiamoci, lo so che il mondo è esattamente il contrario di come sono convinto che debba essere, ma ammetto che ancora oggi non me ne faccio una ragione. E non sono bastati tutti i libri di Scott Turow e quelli di John Grisham a farmi cambiare idea. C’è un omino che vive nella mia testa che mi dice non ti preoccupare, sono queste le eccezioni, gli avvocati sono tutti come Atticus Finch! Il massimo che posso concedere a un legale, sia pure di fantasia, è Lionel Hutz: non di più. Ecco perché ci vado piano con le serie legal: perché sono una personcina sensibile e delicata (leggi: fesso). Però adesso Amazon Prime Video ha recuperato le stagioni di Damages, e siccome non vedo in giro che se ne parla quanto si dovrebbe, mi tocca e quindi vi tocca. Cominciamo a dire che si tratta di una serie vecchia: cinque stagioni, dal 2007 in poi…
«G8, Genova (2001): la caduta degli alibi» di Gioacchino Criaco
«Vent’anni fa, mentre a Bolzaneto un poliziotto afferra le dita di un manifestante e gliele divarica fino all’osso, mentre le donne cercano di arrivare in bagno tra due schiere di divise che le colpiscono chiedendo loro se sono incinte e se alla puttana piace il manganello, e mentre quelle stesse donne si strappano magliette per inventarsi assorbenti negati, le risate accompagnano questa violenza. Le risate sembrano appartenere a uomini bianchi che si percepiscono come vittime del nuovo che avanza e a cui non riescono a dare un nome, e da cui sono spaventati: in qualche maniera, sembra proprio che tutte quelle persone diverse ce l’abbiano con loro. Nelle risate di Bolzaneto già risuonava l’onda lunga che avrebbe portato la nuova destra, la risata dell’angelo restauratrice dell’ordine e, soprattutto, quella del diavolo che lo sovverte. L’ordine da restaurare è ovviamente quello in cui il vecchio e caro Occidente bianco spadroneggiava nel mondo, i neri e le donne non alzavano la testa, gli omosessuali si tenevano questa informazione identitaria per loro».
Vent’anni fa: l’irruzione, assalto, alla scuola Diaz, il trasferimento alla caserma Bolzaneto, poi il carcere. In tanti scoprono una delle tante facce orribili dello Stato. L’autoritarismo, la violenza. Forse è la parte più ingenua, piena di ideali, fra virgolette la più normale: quella generazione che pur avendola immaginata, pur avendone sentito il racconto, resta spiazzata da una brutalità così aperta, sfacciata, gratuita e strafottente. A passare con un drone sopra la storia italiana nel corso del novecento, si sarebbe potuto dire che si entrava nel nuovo millennio col solito spartito. E, a distanza di vent’anni, si può dire che la musica è sempre quella, forse è peggiore. Valerio Callieri (È così che ci appartiene il mondo, Feltrinelli), stando distante dalla sociologia, e mettendoci dentro tutta l’obiettività possibile…
«Bruno Rizzi: romanzo anonimo italiano» di Giuliano Delli Paoli
La vita di Bruno Rizzi è il romanzo meglio nascosto del Novecento italiano, la storia di intuizioni eretiche che hanno girato il mondo viaggiando sulle gambe del loro autore, ma senza chiamarlo mai per nome. Fu genio anticonformista e autodidatta, nessuna accademia filosofica o scuola politica ne reclamò la paternità perché nessuna sarebbe stata in grado di ammaestrarlo. Visse nell’anonimato intellettuale, si fece carboneria di un pensiero irregolare che riscosse zero proseliti e almeno un plagio, come tutti i dissidenti sedette sempre al tavolo degli indesiderati: fu l’anonimo per antonomasia, Bruno R., l’autore che dirottava la visuale da sé per mettere meglio a fuoco le idee raccolte in un libro che cambiò il mondo mentre il mondo stava leggendo altro. A vent’anni partecipò a Livorno ai lavori di fondazione del partito comunista, a trenta lo lasciò preferendo inseguire una via autonoma al socialismo. In quegli anni la polizia fascista lo teneva d’occhio, le belle donne pure, affascinate da quel fisico dinoccolato e robusto, il portamento elegante da Sceicco Bianco e il look sempre in tiro almeno quanto la sua lingua veloce e colta. Se Borges è lo scrittore dei sentieri che si biforcano, Rizzi è l’antieroe di quelli che si spezzano: studiò scienze politiche al politecnico di Milano ma non terminò mai gli studi, scrisse libri per tutta la vita ma dovette spesso pubblicarseli da solo perché completamente diseredato, ad eccezione di alcuni circoli anarchici, dall’ambiente editoriale italiano. Si guadagnò il pane facendo il rappresentante di calzature in tutta Europa e tra una commessa e l’altra scriveva, appuntava, ragionava di sociologia politica all’Università Anonima Rizziana di cui era al contempo studente, ricercatore e professore. Con La burocratizzazione del mondo scrisse il capolavoro che avrebbe avuto tutte le carte in regola per lanciare il suo nome accanto a quelli di Lewis Mumford e John Kenneth Galbraith nel trio di grandi visionari che avevano intravisto tutti i limiti dell’efficientismo novecentesco, ma se i concetti di macchina e tecnostruttura diventarono presto dei classici, la burocratizzazione si realizzò ignara di avere anche una definizione.
Mentre nel 1939 Hitler invadeva la Polonia inaugurando di fatto la Seconda Guerra Mondiale, Rizzi rifletteva su un’Europa divisa in tre blocchi…
Alla prossima!