Gli imperdibili di Tortuga #3
Sciascia e la Svizzera; in memoria di Federico Roncoroni; torna Spoiler di De Silva; Orfani meridiani di Criaco
Sciascia e la Svizzera: un’altra idea del mondo di Marco Ciriello
Nel 1957 Albert Camus vinceva il Nobel, Aldo Moro era ministro della Pubblica Istruzione, Marco Pannella – che due anni prima aveva fondato il Partito Radicale – già urlava fuori dal Palazzo, Giulio Andreotti era ministro delle finanze, Enrico Berlinguer vicesegretario regionale del PCI in Sardegna, Pier Paolo Pasolini scriveva Le ceneri di Gramsci e Leonardo Sciascia vinceva il Premio “Libera Stampa”, con due racconti, poi finiti ne Gli zii di Sicilia. Erano La zia d’America e Il Quarantotto divenuti per il premio: Due storie italiane. Senza quella vittoria non ci sarebbe stato il resto di Sciascia, lo ha sempre detto, l’unico premio al quale partecipò liberamente, gli altri, tra questi anche uno Strega con Il giorno della civetta dove non entrò nemmeno in cinquina, lo videro sempre costretto e defilato.
«Il Premio per me è stato importante: Vittorini già cominciava a distaccarsi dall’idea per cui aveva dato vita ai Gettoni, avrebbe pubblicato il libro, come poi lo ha pubblicato, come atto liquidatorio di una sua esperienza. Probabilmente, se la giuria del “Libera Stampa” non mi avesse premiato, avrei liquidato anch’io la mia esperienza, appena cominciata, di narratore».
Federico Roncoroni, l’uomo delle parole di Bernardino Marinoni
Uomo che amava quasi carnalmente le parole, nel suo universo librario, una biblioteca sterminata senza risultare monumentale, Federico Roncoroni aveva allineato i testi di linguistica, cullando il progetto di compilare un dizionario della materia, a lui così congeniale. Progetto senza seguito con la scomparsa del “professore” – teneva al ruolo, considerandosene militante, ancorché a distanza – così come tanti altri della sua niente affatto comune capacità di lavoro, tanto da essersi perfino sdoppiato in quel Marcello Sensini, l’alter ego noto ad ogni insegnante di italiano, imbattuto capofila dell’editoria scolastica. Un ambito coltivato con passione antica, quella per cui non c’è chi gli sia stato allievo – a Como dall’allora Istituto magistrale al liceo “Volta”, a Trieste all’Università, così come alla “Columbus” di New York – che non ne conservi un ricordo misto di rispetto e ammirazione, tradotto in debito riconoscente. Capace di sorprendere gli studenti con, compito in classe, la redazione di un telegramma alla famiglia, di una cartolina agli amici, di una breve lettera al più caro tra costoro, dalla meta della gita scolastica dalla quale erano reduci. Attenzione, accadeva cinquant’anni fa, quando, per così dire, non usavano siffatte proposte.
Incontestabili dall’alto della formazione del professore, forgiato all’Università pavese, eminenti tra le sue traduzioni “La storia dei Longobardi” di Paolo Diacono e le “Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa”, una conoscenza della lingua latina che l’avrebbe inopinatamente instradato verso l’incontro con lo scrittore Piero Chiara, aprendo uno scambio decisivo in percorso predestinato.
“A confession”, il Male a norma di legge di Amleto De Silva
«Il silenzio continuò. Halliwell rimase immobile, gli occhi azzurri fissi nei miei, nessun barlume di certezze o incertezze. Ma, suo malgrado, intravedevo delle crepe. Il tempo che stava impiegando per rispondere, per esempio. Il suo cervello stava facendo gli straordinari e stava attivamente evitando di rispondere alle mie domande. Un innocente, nella stessa situazione, avrebbe risposto: Guarda, non so davvero dove sia, non ha niente a che fare con me. Invece, con Halliwell, c’era una disconnessione. La nostra conversazione era lenta e tesa; era sconnesso, perché stava chiaramente cercando di formulare una dichiarazione che non lo coinvolgesse – eppure, di per sé, quella lentezza segnalava la sua colpa.
Un innocente non riflette così a lungo; semplicemente non si comporta così. Pertanto – decisi con certezza crescente – stavo parlando con un colpevole. Lei pensai che sia stato io, disse Christopher Halliwell. Ressi il suo sguardo senza battere ciglio. Lo so che sei stato tu, risposi».
(Stephen Fulcher, Catching a Serial Killer: My Hunt for Murderer Christopher Halliwell, Ebury Publishing, 2017)
Orfani meridiani di Gioacchino Criaco
Orfani dopo Predrag Matvejević, sopravvissuti al vuoto di Franco Cassano. Bisogna essere esperti della materia per agganciarsi a un pensiero meridiano che non conta vasti nomi, delimitato spesso a singoli viaggiatori mediterranei e non a flottiglie agguerrite, scuole di pensiero. Il Sud ha avuto spesso straordinari interpreti, ma spesso, da soli, si sono rinchiusi in ambiti territoriali ristretti, in angusti confini nazionali che li hanno ridotti a icone, bandiere di un fenomeno e una esigenza regionale.
Invece, quello di cui davvero c’era e c’è bisogno, è un vasto pensiero meridiano. Un Sud che pensa, come unico corpo culturale, fatto di organi, di membra differenti, ma depositario di un solo e multiforme bagaglio, che senza necessariamente contrapporsi esista.
Alla prossima!