Napoleone Pop - Tortuga #12
Ancora su Napoleone: Waterloo e l'europop; Lady Oscar e il Generale; Serge Gainsbourg come Bonaparte; Rascelon!; storia di un capolavoro: il codice civile.
«Napoleone & Gainsbourg: ultimi conquistatori» di Giuliano Delli Paoli
Kingston, 1 Gennaio 1979. L’isola che fu dei Taino festeggia l’ultimo anno di un decennio ambiguo per i nipoti degli schiavi deportati dai britannici dall’Africa sub-sahariana. L’amato Michael Manley guida ancora il governo ma ha ormai il fiato corto. Il suo socialismo casa e chiesa alla fine della fiera si è rivelato un enorme disastro finanziario. Come previsto dagli analisti di Wall Street il sistema è inesorabilmente crollato per una serie di mancanze strutturali e programmatiche. La Giamaica boccheggia, vacilla, trema. Ma non demorde, anzi lotta con una ritrovata allegria, suonando blues, cantando reggae, sognando di tornare nella Gerusalemme indicata dal profeta Bob, Shashamane.
Sulla spiaggia di Hellshire, intanto, c’è un uomo che cattura l’attenzione dei passanti; è bianco da fare schifo, parla in inglese con un accento francese da bohémien d’altri tempi, e indossa pantaloni a mo’ di culottes, un foulard di seta viola e una camicia bianca. E cosa ancora più strana: fuma Gitanes una dietro l’altra. A Kingston lo conoscono bene più o meno tutti quanti: si chiama Serge, ha cinquant’anni e alcune mattine può dimostrarne anche settanta; è l’autore di Je T’Aime Moi Non Plus…
«Gli ABBA a Waterloo, vince chi si arrende» di Salvatore Setola
Prima degli ABBA, con buona pace di Altiero Spinelli e degli altri padri fondatori dell’Unione Europea, l’Europa unita era un sogno riuscito solo a imperi e tiranni, i romani che si allungano fino al vallo di Adriano e poi si spezzano in due, Carlo Magno che prova a incollarli con il sangue e il corpo di Cristo, Hitler che Cristo lo massacra mentre compone a Risiko la Fortezza Europa e quasi ci riesce se la storia, che dopotutto deve avere una sua intrinseca provvidenza, non lo schiantasse contro il muro dell’armata rossa. E se oggi l’Europa è un’idea al guinzaglio di tecnocrati dell’alta finanza, per un luminoso momento negli anni Settanta fu una collana di perle intorno al collo di due coppie svedesi, Björn Ulvaeus-Agnetha Fältskog e Benny Andersson-Frida Lyngstad: due matrimoni come un doppio misto di tennis, il grande slam da Wimbledon a Billboard.
Gli ABBA furono il manifesto di Ventotene della musica pop, l’Europa unita nella gaiezza melodica di coretti stupidi e irresistibili come la felicità che arriva sempre senza un motivo e va via entro tre giri di lancette, giusto la durata di “Waterloo”, il pezzo che per molti versi rivelò l’europop in quanto genere musicale ma pure in quanto fenomeno di costume.
Come genere Waterloo codificò lo stile degli ABBA in un pop orecchiabile debitore dei modelli anglo-americani da cui attingeva i propri elementi strutturali (le chitarre jingle degli anni Sessanta, i riff granitici del glam…
«Quando Lady Oscar incontrò Napoleone» di Silvia Stucchi
Nell’ultima parte della torrenziale narrazione a fumetti che la vede protagonista, Lady Oscar, la popolare eroina del manga Le rose di Versailles, e poi del fortunatissimo anime, arriva a incontrare Napoleone Bonaparte. Ci troviamo nell’imminenza del giuramento della Pallacorda, e Riyoko Ikeda, la creatrice del manga Le rose di Versailles, immagina che l’attenzione della sua bionda eroina venga attirata dalla figura di un giovanissimo ufficiale d’artiglieria dal contegno serissimo, magrissimo e dal viso affilato, cui chiede di favorire nome e grado: naturalmente, il nome di Napoleone Bonaparte non le dice nulla (siamo a giugno 1789, e Napoleone, nato il 15 agosto 1769, non ha ancora vent’anni), ma la donna resta colpita dagli occhi del ragazzo...
«Rascelon: storia e farsa per Napoleone» di Amleto De Silva
C’è un motivo se, tra tutti i Napoleoni del grande e del piccolo schermo il mio preferito, dopo tanti anni, resta Renato Rascel: non solo perché ancora oggi, se lo vedo vestito da corazziere o se lo sento cantare Care salme, state calme (da Alleluja brava gente, di Garinei e Giovannini, 1970) mi fa ridere quasi come Totò. Perché, come Totò, Rascel era capace di portare il dramma dell’uomo (aveva sempre, fateci caso, gli occhi tristi) nelle sue scenette: e a Totò lo accomunava il gusto della parola pallottoliata in bocca. Quando si mostra col suo elmo da corazziere e ammicca al pubblico dicendo vèdano, signori e poi arivèdano è sublime nella sua semplicità e trasforma un’esclamazione da imbonitore da fiera in una esibizione di glottologia.
Napoleon Napoleon Napoleon/per inviare a Giuseppina un panetton/a Milano sono entrato senza il rombo del cannon!
Ma, dicevamo, perché cavolo preferisco Rascel a Marlon Brando, a Charles Boyer, a Rod Steiger? Prima di tutto perché io credo che gli attori bravi e soprattutto molto amati (come succede a me, per esempio, con Steiger), non debbano mai interpretare personaggi storici: basti pensare, appunto a Steiger in Mussolini ultimo atto (Carlo Lizzani, 1974) o a Bruno Ganz che fa Hitler (La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler, di Oliver Hirschbiegel, 2014). Non lo devono fare e basta, perché io agli attori mi affeziono e poi va a finire che non riesco a trovare antipatici neanche Hitler e Mussolini. Cioè, ci riesco eccome, ma non mi va di doverci riuscire…
«Il Codice civile, capolavoro di Napoleone» di Bianca Fenizia
Da sempre per la sinistra è un impostore che ha tradito gli ideali della Rivoluzione, per la destra un ibrido scomodo, un misto tra «un cane e un lupo», tra repubblica e monarchia. Dopo duecento anni dalla morte, cosa fare di Napoleone Bonaparte? Denigrarlo o limitarsi alla commemorazione? Celebrarlo o dimenticarlo? Nella società francese sempre più divisa e frazionaria, dalla politica alla cultura, tra chi rivendica Bonaparte come figura centrale della nazione e chi lo rinnega con proteste delle associazioni antirazziste, il presidente Emmanuel Macron ha affrontato come uno stallo alla messicana, con il grilletto puntato dell’opinione pubblica, la decisione di omaggiare il bicentenario della scomparsa dell’imperatore a Sant’Elena. E se «commemorare non è festeggiare», come ha tenuto a ribadire l’Eliseo, la prova della sua incertezza è la procrastinazione dell’annuncio: il capo di stato ha aspettato fino al giorno prima della ricorrenza, il 4 maggio, per confermare il suo discorso su Napoleone all’Institut de France e la cerimonia di deposizione per una ghirlanda di fiori vicino alla tomba a Les Invalides. Napoleone è il tabù e l’orgoglio, la divisione che perseguita la Francia dal suo impero. E se il ministro delle pari opportunità, Élisabeth Moreno, lo definisce «uno dei più grandi misogini», sono gli storici – tra tutti Jean Tulard e Patrice Gueniffey – a suggerire un punto di vista da un’angolazione diversa. Perché se le sconfitte, sia sociali che militari, devono essere condannate, come la reintroduzione della schiavitù, non si può escludere l’importanza internazionale di cui Napoleone è investito. Non si può dimenticare lo sviluppo dell’amministrazione per lo stato moderno, il Code pénal (1810)…
Alla prossima! Au revoir!