Speciale Napoleone su Tortuga #11
Tutto su Bonaparte: lo scrittore che non riuscì a diventare. Il cinema, l'iconografia, le canzoni, i cartoni, a tavola. Uno stralcio dal libro di Criscuolo. Il militare secondo von Clausewitz.
«L’altra possibilità di Napoleone» di Marco Ciriello
Mentre il vascello inglese Northumberland lo porta a Sant’Elena, dove sbarcò il 17 ottobre del 1815, dopo due mesi di viaggio, è probabile che non ricordasse l’appunto preso da ragazzo guardando l’oceano Atlantico e finendo a scrivere un nome e un commento: «Sant’Elena, piccola isola». Jorge Luis Borges avrebbe detto che se non avesse scritto il nome dell’isola, un piccolo punto – divenuto quello finale – in una traiettoria che dallo sguardo si fa di vita, avremmo avuto un altro Napoleone, e lui un’altra vita.
Quell’appunto che era una premonizione oscura, una di quelle intuizioni che l’istinto si concede in anticipo sui tempi, senza motivo, era l’ultima tappa del viaggio avventuroso di un uomo che cambiò il mondo.
«von Clausewitz passa in rassegna la campagna italiana di Napoleone» di Armando Torno
Carl von Clausewitz (1780-1831), generale e scrittore militare prussiano, è citato con stima nei testi di Marx e Lenin, anche se non figura tra i fondatori del comunismo. Continua a essere ricordata ai nostri giorni la sua opera principale dal titolo Vom Kriege, cioè Della guerra. Forse perché, anche in un mondo che tendenzialmente crede nella pace, molteplici azioni sono simili a battaglie o aggressioni; forse perché l’uomo è intento a legalizzare (o moralizzare) la violenza sotto altre forme, che si presentano con sembianze economiche o comunicative.
Certo, von Clausewitz fa parte di un’epoca in cui i soldati erano vestiti con giubbe color pastello e si sparavano addosso stando ben schierati, ma le osservazioni di questo militare che combatté Napoleone restano filosoficamente preziose…
«La malattia e la morte di Napoleone» di Vittorio Criscuolo
Finalmente il 18 settembre 1819 sbarcò nell’isola il medico inviato da Roma, dalla madre e dallo zio, il cardinale Joseph Fesch (1763-1839), per garantire a Napoleone le cure necessarie. Si trattava del corso Francesco Antonmarchi (1780-1838), che si sarebbe rivelato inadeguato al suo compito, non tanto per la giovane età quanto perché, specializzato in anatomia, era del tutto privo di esperienza clinica. Egli comunque, appena arrivato, consigliò una più equilibrata dieta alimentare e soprattutto una ripresa dell’esercizio fisico. Napoleone si lasciò convincere: ricominciò a uscire, fece delle passeggiate e qualche cavalcata e si impegnò anche personalmente, sempre su suggerimento di Antonmarchi, nelle cure al giardino di Noverraz. Risale a questo periodo l’immagine singolare dell’imperatore in abiti coloniali, con il grande cappello di paglia, dedito a lavori di giardinaggio!
Questo mutato atteggiamento portò effettivamente un certo beneficio. Si trattò tuttavia di un breve intermezzo, perché nel corso del 1820 la salute riprese a peggiorare…
«Cinema: Cherchez Napoléon!» di Bianca Fenizia
Sosteneva che la parola impossibile non appartenesse al vocabolario francese, come per escludere se stesso dal campo semantico del fallimento o dell’irrealizzabilità, ma è proprio analizzando la filmografia che lo vede protagonista, in più di un secolo di narrazione in pellicola e in tutte le produzioni di nazionalità differenti, che l’affermazione si rivela fallace, non all’altezza delle sue ambizioni e potenzialità. Il cinema con Napoleone Bonaparte è come se avesse puntualmente una lente da obiettivo danneggiata: il più delle volte non mette bene a fuoco la figura, frenata in trame da romanzo rosa con poca politica (Désirée di Henry Koster, 1954, uno dei pochi insuccessi di Marlon Brando), spesso è scheggiata e taglia fuori dall’immagine parte della storia che il flashback non riesce a restituire (N – Io e Napoleone di Paolo Virzì, 2006), oppure, si allarga troppo sul campo lungo dei combattimenti disperdendo il personaggio (Waterloo di Sergej Fëdorovič Bondarčuk, 1970, oppure La battaglia di Austerlitz di Abel Gance, 1960).
Sono opere che pretendono l’attributo di «grandi» per essere definite, che partono con aspirazioni all’immortalità, con interpreti eccellenti (Waterloo aveva come tridente in attacco Orson Welles…
«Napoleone: C’est le Champagne qui fait la guerre» di Mauro Erro
«Se desiderate mangiare bene, mangiate con Cambacérès, se desiderate mangiare male, mangiate con Lebrun; se desiderate mangiare in fretta, mangiate con me».
Napoleone Bonaparte al Generale Thiébault
«Non ho tempo», ripeteva Napoleone a Giuseppina che gli chiedeva di trattenersi per il pranzo qualche altro minuto. Mezz’ora al massimo, non di più. «J’ai pas le temps», insisteva Napoleone spiegandole che, dopo dieci minuti, gli sembrava corruzione del potere.
Oltre la totale dedizione a quest’ultimo e a se stesso, il rapporto di Napoleone Bonaparte con i piaceri della tavola è condizionato dai dilanianti dolori che prova allo stomaco, effetto del male che lo porterà alla tomba a cinquantun anni e che aveva ucciso suo padre Carlo neanche quarantenne. Dolori curati con frequenti digiuni, diete singolari, l’utilizzo di limonata calda e Chambertin prescritto dal medico curante per quindici anni, da bersi …
Alla prossima!